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Ghino di Tacco - Signore di Torrita e della Fratta, della stirpe feudale dei Cacciaconti

Ghino di Tacco
Enciclopedia Dantesca (1970)
di Renato Piattoli


Ghino di Tacco - Appartenente al ramo dei conti di Guardavalle, signore di Torrita e della Fratta, della stirpe feudale dei Cacciaconti, una delle grandi in Siena; G. è ricordato da D. quale uccisore del giudice aretino Benincasa da Laterina (Pg VI 14).
Quando G. e i suoi familiari furono privati del castello della Fratta e degli altri castelli che essi possedevano, si rifugiarono in Siena, dove rimasero finché G. non  dové uscirne per qualche sua malefatta. Abbandonata la città egli riuscì a far ribellare al dominio pontificio il castello di Radicofani, dove pose la base per le sue attività di rubatore di strade. Benvenuto così descrive l'aspetto fisico e morale del masnadiero: "fuit vir mirabilis, magnus, membratus, niger pilo et carne fortissimus", e in quella sua scellerata professione si fece una larga rinomanza di brigante alieno dal cagionar la morte a chi capitava tra le sue fiere braccia, e a suo modo nobile. La rinomanza visse a lungo nel popolo toscano, e un'eco di essa si può sentire nell'esposizione che i commentatori di D. ci hanno lasciato del sistema che egli teneva a seconda della qualità delle persone che incappavano nelle sue insidie. La sua figura dové riuscire simpatica anche a D. che di lui mise in rilievo solo le fiere braccia (Pg VI 14).

Due diverse tradizioni si hanno sulla sua fine; l'una, tramandataci dal Boccaccio (Dec. X 2), il quale ebbe una certa stima verso G. " per la sua fierezza e per le sue ruberie uomo assai famoso ", narra che l'abate di Cluny, dopo essere stato curato con salutari effetti, col sistema del digiuno, dal mal di stomaco per cui si era condotto alle acque di Siena, per opera del suo imprigionatore G., rimase tanto amico del masnadiero da provocare il suo riavvicinamento a Bonifacio VIII, il quale gli avrebbe concesso una ricca prebenda dell'ordine gerosolimitano. G., messo così al riparo dal bisogno e dalla necessità di correre le strade, per il resto della sua vita perdurò nell'amicizia della Chiesa romana e dell'abate, suo protettore.

L'altra versione, attestata da Benvenuto, fa anch'essa di G. un prebendato dell'ordine gerosolimitano, però mostra come, trovandosi egli a Sinalunga, terra della Maremma senese non lungi da Torrita, venne sorpreso inerme da un gruppo di armati, e morì " probiter pugnans " nell'impari confronto.

Bibl.-B. Aquarone, D. in Siena, Città di Castello 1889, 93-101; O. Antognoni, Saggio di studij sopra la Commedia di D., Livorno 1893, 67 (che chiosa un altro aneddoto su G., narrato da Francesco da Barberino nei Documenti d'amore); G. Cecchini, G. di  T., in " Arch. Stor. Ital. " CXV (1957) 274-281, 291-298.

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